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Big data e complex decision making – Nuove frontiere per interpretare la realtà complessa

L’era di internet non solo ha cambiato il nostro approccio anche negli aspetti quotidiani, ma ha prodotto un nuovo fenomeno: l’accumulazione di una massa enorme di dati, sempre più complessa, che cresce in maniera esponenziale e riguarda ogni aspetto della nostra vita. La "datificazione dei fenomeni" facilita il processo decisionale, ma la decisione ultima può essere affidata unicamente agli algoritmi? I Big Data stanno cambiando sempre piu' il nostro modo di comprendere e interpretare la realtà

ComplexManagement

L’era di internet non solo ha cambiato il nostro approccio anche negli aspetti quotidiani, ma ha prodotto un nuovo fenomeno: l’accumulazione di una massa enorme di dati, sempre più complessa, che cresce in maniera esponenziale e riguarda ogni aspetto della nostra vita. Tali dati possono essere utilizzati in diversi modi. Basti pensare alle ricerche che effettuiamo sul web in cui gli algoritmi dei motori di ricerca diventano sempre più sofisticati, precisi e predittivi di ciò che cerchiamo.  Solo per fare un esempio la funzione  Google Istant anticipa quello che il sistema pensa tu voglia cercare. Gli algoritmi sfruttano solitamente, attraverso l’elaborazione di grandi masse di dati, i big data appunto, le ricerche fatte da altri per fornirti la soluzione che più si avvicina alla tua ricerca, e nella maggior parte dei casi quella proposta è la soluzione che stavi cercando.

Simili a questo ci sono altri esempi e casi di utilizzo dei big data. Un altro esempio: il sito Recorded Future analizza di continuo le informazioni presenti in circa 100.000 fonti di tutto il mondo (attraverso analisi semantiche e di sentiment)per prevedere gli eventi che potrebbero accadere nei prossimi anni, pianificando anche il periodo temporale.

Questo modo di procedere, definito da Leon Wieseltier, come “datificare i fenomeni”, ci aiuta nel prendere le decisioni, ci semplifica e ci dà risultati migliori. La prima riflessione che scaturisce è che la decisione ultima deve comunque spettare sempre a noi. Non possiamo farci sostituire da nessun computer o algoritmo nel prendere le decisioni. Altrimenti si corre il rischio, come riporta Vincenzo Cosenza nel suo libro “La società dei dati”, che “un eccesso di incrocio dei dati può portare a situazioni di discriminazioni”, come è successo ad un imprenditore USA che ha visto abbassarsi il tetto della sua carta di credito a causa della maggiore probabilità di insolvenza da parte di altri che avevano abitudini di acquisto simili alle sue.

Ma emerge un aspetto ancora più interessante, che divide in due gli esperti del settore: da una parte c’è chi afferma che attraverso l’elaborazione dei big data riusciamo ad osservare i comportamenti delle persone e a prevedere le probabilità che determinati comportamenti si ripetano in futuro senza più il bisogno di spiegarne i motivi, senza la necessità di trovare dei modelli matematici. Come dicono Mayer-Schomberger e Cukier nel loro libro Big Data “si separano in questo modo causa ed effetto in cambio di semplici correlazioni, interessandosi non  ai perché ma solo ai cosa.  Questo ribalta secoli di pratiche consolidate emette in discussione i nostri più basilari approcci a come prendere decisioni e comprendere la realtà”. Chris Anderson direttore di Wired l’ha ribattezzata la “fine della teoria”.

Dall’altro lato c’è chi, come Francesco Sylos Labini in un recente post, pensa che ragionare in termini di correlazioni a posteriori non implica in genere l’esistenza di un nesso causale, ma anzi può essere molto fuorviante (ad esempio quando ci fanno credere che i “numeri ritardatari” siano anche quelli che usciranno più probabilmente alle prossime estrazioni del lotto) “soprattutto perché i sistemi complessi, dai sistemi fisici ai sistemi sociali, sono caotici. Se l’accumulazione dei dati rappresenta certamente una preziosa fonte d’informazioni che può essere utile per l’elaborazione di previsioni, solo una comprensione teorica, frutto di una ricerca fondamentale più profonda, può guidarci a ben interpretare il dato stesso.

Personalmente credo che non stiamo andando incontro alla fine della teoria, anche se prevale sempre di più l’analisi sul cosa succede rispetto al perché succede, ma è bene sottolineare come sia necessario osservare in maniera corretta il “cosa”.

Fabio Perrone

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