bollino ceralaccato

Epidemie di idee e contagi di comportamenti: l’accelerazione memetica portata dalla estrema complessità del Web.

Una connessione sempre più globale, veloce, efficiente e auto-sostenuta tra le menti di gran parte degli umani presenti sulla superficie della Terra ci pone nella posizione di cellule interconnesse di una rete (di un sistema) per certi versi analoga a quella di un cervello vasto quanto tutto il globo: è questa una premessa necessaria, seppure non sufficiente, per l’emersione di una “mente” di un livello di complessità superiore a quella umana, in cui gli uomini avranno un ruolo analogo a quello dei neuroni?

 

1. Premessa.

Questo non è un articolo scientifico: è l’esposizione di una serie di osservazioni sulla stratificazione di complessità dentro e intorno a noi (noi come osservatori di processi di cui facciamo parte) e di una serie di conseguenti riflessioni sulla possibilità che possa emergere “qualcosa di più intelligente di noi” dallo sviluppo globale delle reti di informazioni, saperi, conoscenze e contatti fra menti e macchine, catalizzato da strutture multi-direzionali come Internet, le reti satellitari e cellulari per le trasmissioni, e il cloud e il grid computing1.

Che significa “qualcosa di più intelligente di noi”?

Lo vedremo solo nelle ultime righe dell’articolo, a conclusione del percorso non lineare di accumulo e confronto di osservazioni e riflessioni che faremo nel corso di queste pagine: sarà una ipotesi (molto più plausibile di quanto possa sembrare a priori) sullo sviluppo di “un’intelligenza globale e autonoma”2 in cui ciascuno di noi - insieme con le protesi cognitive costituite dalle reti digitali in cui operiamo e a cui siamo sempre più connessi - ciascuno di noi, dicevo, potrebbe avere il ruolo di qualcosa di analogo a un neurone all’interno di una sorta di cervello fisico grande quanto tutto il nostro pianeta: un “cervello globale” da cui potrebbero emergere fenomeni e processi complessi auto-organizzati e autopoietici analoghi a ciò che noi - per quanto ci riguarda - chiamiamo mente, pensieri, coscienza.

Come affrontiamo un tema così al limite da poter essere liquidato come fantascienza?

Il metodo che abbiamo scelto è quello di far scaturire l’ipotesi “cervello globale” dalla osservazione (ovvero dalla descrizione e dall’analisi) di fenomeni e processi significativi che avvengono intorno a noi in maniera sempre più accelerata grazie alle reti di informazione e conoscenza che noi stessi stiamo stendendo e alimentando continuamente con miliardi di azioni simultanee su tutta la superficie del nostro pianeta (e in parte nell’ambiente esterno).

Partiremo quindi richiamando in estrema sintesi alcuni dei principi di base dei sistemi complessi adattativi utili per le nostre riflessioni, per poi descrivere i processi di complessificazione continua che si possono osservare in natura; passeremo quindi in rassegna il fenomeno della diffusione virale delle idee e dei comportamenti messo a fuoco e analizzato strutturalmente nell’ultimo decennio dagli studi sulla memetica, sulla base del contemporaneo sviluppo delle teorie delle reti, per concludere il percorso con la formulazione della conseguente ipotesi sulla possibile/probabile nascita di un sistema complesso di livello superiore al nostro, con una sua “intelligenza” a sua volta di ordine gerarchicamente superiore.

 

2. Alcuni principi base dei sistemi complessi adattativi.

Probabilmente non ce n’è bisogno per i lettori abituali di questa rivista scientifica, ma non possiamo non ricordare almeno brevemente e per estrema sintesi quelle caratteristiche dei sistemi complessi adattativi che ci serviranno poi per sviluppare le osservazioni e le riflessioni che abbiamo previsto di fare.

Diamo quindi, se non delle definizioni, delle descrizioni delle caratteristiche e delle condizioni al contorno da cui partire, invitando i lettori abituali - se lo vogliono - a saltare direttamente al paragrafo successivo.

I sistemi (le reti) a cui siamo interessati sono costituiti da numerosissimi elementi collegati tra di loro in modo non lineare, in uno stato dinamico in cui l’equilibrio è in continuo divenire, in bilico fra uno stato statico, ordinato e rigido, e uno stato caotico, disordinato: sistemi che si trovano, cioè, al cosiddetto “margine del caos” in cui possono avere luogo “transizioni di fase”.

Si tratta di sistemi aperti in cui emergono dal basso (senza una progettazione esterna né un coordinamento centrale) dei pattern, delle organizzazioni interne, delle caratteristiche che non sono prevedibili studiando il singolo elemento: auto-organizzazioni che portano a una diminuzione più o meno temporanea dell’entropia all’interno del sistema.

Tali sistemi, inseriti in ambienti con cui scambiare energia, materia e/o informazione, possono adattarsi: ovvero “apprendere” ed “evolvere” facendo emergere al proprio interno architetture, strutture e processi in grado di farli sopravvivere a cambiamenti dei parametri dell’ambiente circostante altrimenti letali.

Ricordo un concetto importante da tenere presente: non siamo interessati qui ai sistemi “complicati” (etimologicamente: “ripiegati”, e quindi “spiegabili” con passaggi più o meno lunghi o difficili ma comunque fattibili, grazie alla riduzione di complicazione ottenuta operando sulle singole componenti costitutive, come si può fare per esempio smontando e rimontando un motore o un orologio), ma ai sistemi appunto “complessi” (etimologicamente: “tessuti insieme”, per cui, smontandoli nei singoli componenti - ovvero “riducendoli” a una somma di parti separabili - si perde la proprietà emergente, quella appunto di “tessuto”, che nel suo insieme ha caratteristiche diverse rispetto alla somma dei singoli fili).

Da ciò deriva anche che tali sistemi hanno comportamenti che non seguono le regole logiche della scienza classica (causa-effetto, tertium non datur) e che quindi A) non si capiscono studiando le singole parti in maniera ”riduzionista”, e B) non sono prevedibili nel loro sviluppo né spaziale né temporale.

La continuità nel tempo e nello spazio (ovvero la sopravvivenza e l’affermazione) di tali sistemi dipende da molti fattori non isolabili, tra cui risultano di grande importanza le architetture delle reti di collegamento fra gli elementi componenti, architetture che si possono suddividere in tre macro-categorie: ordinate, disordinate e intermedie (ancora una volta al bordo fra caos e ordine): ne parleremo nel paragrafo 4.

Ma la sopravvivenza e l’affermazione di tali sistemi complessi adattativi, in competizione e in collaborazione tra loro all’interno di un ambiente a sua volta complesso (ecosistema), dipendono anche dalla capacità di evolvere in modo da sopravvivere ai filtri della selezione naturale all’interno dell’ecosistema.

Concludiamo questa panoramica di riepilogo dei principi base dei sistemi complessi adattativi che ci interessano per il nostro ragionamento, con qualche esempio calzante di reti e sistemi complessi caratterizzati dall’emergenza3 di proprietà imprevedibili a priori:

- dal sistema complesso “cervello” vediamo emergere il sistema a sua volta complesso “mente” (e pensiero, e coscienza...);

- dal sistema complesso “società” vediamo emergere proprietà, caratteristiche, processi e fenomeni a loro volta complessi, come i sistemi economici e finanziari, quelli della moda e quelli delle mode, fino a quelli estremi del terrorismo internazionale;

- dalla rete fisica “Internet” e dalla rete di informazioni “World Wide Web” vediamo emergere effetti complessi catalizzati in ambito sociale come i social network tipo Facebook o come i prodotti culturali emergenti dal basso tipo Wikipedia; mentre software di limitata e specifica “intelligenza” che esplorano incessantemente le rete - come i cosiddetti spider4 - alimentano costantemente dal basso la rete complessa planetaria di motori come Google; e mentre sistemi hardware e software come il cloud e il grid computing tracciano e consolidano forme di connessioni forti ed efficaci che possiamo considerare metaforicamente come una sorta di macro-sinapsi.

 

3. Processi di complessificazione (percepiti da noi osservatori).

Fissati nel paragrafo precedente i confini entro cui sviluppiamo il nostro ragionamento, possiamo ora dedicarci a descrivere il fenomeno naturale delle stratificazioni di complessità, ovvero della “crescita” naturale del grado di complessità in gerarchie osservabili da noi umani, che siamo a nostra volta sistemi complessi adattativi, costituiti da sistemi di sistemi complessi adattativi di gerarchia inferiore e percepiamo, modifichiamo, osserviamo e apparteniamo a sistemi complessi adattativi di complessità superiore. Il tutto tenendo ben presente che nella storia del nostro universo e in particolare del nostro pianeta e della vita nata e sviluppatasi su di esso, possiamo osservare che sistemi più o meno complessi tendono con il tempo ad associarsi per formare nuovi sistemi di complessità superiore. Tanto che molti studiosi - provenenti da discipline diversissime tra loro - parlano in maniera coerente di “gerarchie (o livelli o ordini) di complessità dei sistemi”5.

Per articolare il nostro ragionamento sulle basi sopra esposte, osserviamo come lo sviluppo del mondo che ci circonda si sia evoluto nel tempo seguendo un aumento della complessità circoscritto all’interno di un sistema di sistemi complessi dinamici a loro volta circoscritti nel tempo e nello spazio: il tutto sulla limitatissima superficie del nostro pianeta, che possiamo vedere come un sistema aperto in cui si ottiene aumento localizzato di ordine (diminuzione di entropia) grazie allo scambio di energia, materia e informazione con l’ambiente circostante (in cui al contrario l’entropia è in continuo aumento).

fig1

 

Figura 1. Aumento di complessità dalle particelle elementari agli organismi viventi in un ambiente circoscritto nel tempo e nello spazio come è il nostro pianeta Terra (sistema dinamico aperto in grado di scambiare energia, materia e informazione con l’ambiente circostante); nei primi due cerchi sono indicati passaggi di livello di complessità avvenuti prima della nascita della Terra, all’interno delle masse stellari addensatesi dopo il big bang.

 

Nella Fig.1 abbiamo rappresentato in sintesi la prima parte del percorso di complessificazione che va dal big bang alla formazione di atomi e di molecole all’interno degli ammassi stellari, con una estrapolazione (ancora in via di elaborazione da parte di innumerevoli studiosi e ricercatori) che porta all’ipotesi della nascita del principio della vita (indicato in figura in maniera grossolana con l’indicazione “aminoacidi, proteine, RNA, DNA”) nei confini limitati nel tempo e nello spazio del nostro pianeta. Per essere un po’ più precisi, diamo qui come esempio interessante per il nostro ragionamento - tra le tante e diverse ipotesi ancora da verificare sperimentalmente - la “scala arbitraria di complessità per l’origine della vita” proposta da Pier Luigi Luisi6, che indica un aumento spontaneo di complessità a partire dalle “molecole” per arrivare alle “cellule” attraverso alcuni passaggi di livello di complessità segnati dall’emergenza (nell’ordine) di “biomonomeri”, “macromolecole”, “compartimenti”, “codice genetico” e “reti metaboliche”.

Ma così abbiamo fatto solo la prima parte del percorso.

Dal vero e proprio “motore” (ma potremmo dire anche “acceleratore”) di complessità costituito dal principio della vita7 hanno origine infatti una serie di catene di creazione di complessità ricchissime e spesso parallele tra di loro. Nella Fig.2 abbiamo indicato due di queste catene di relazioni causali in cui si riscontra a ogni passaggio aumento di livello di complessità.

fig2

 

Figura 2. Esempi di catene di aumento di livello di complessità che partono dal “motore” (o “pompa di entropia”) costituito dal principio della “vita”.

 

Arriviamo così all’ultimo passaggio del ragionamento che ci porta agli argomenti trattati nel prossimo paragrafo: come si vede nella Fig.3 (che raccoglie le prime due figure e le completa), la creazione di sistemi complessi adattativi e di nuovi ecosistemi da parte dell’uomo (e in particolare la costruzione di reti tecnologiche capaci di veicolare informazione e conoscenza) porta a un cortocircuito tra diverse catene di complessificazione con un effetto di catalizzazione e di accelerazione dei processi che potrebbe comportare un nuovo salto di livello nella complessità del vivente.

fig3

 

Figura 3. Aumento dei livelli di complessità dalle particelle elementari al Web. Quadro d’insieme.

 

Ma di questo parleremo nella conclusione. Prima dobbiamo ancora affrontare un altro aspetto importante del nostro puzzle: la caratteristica “virale” della diffusione nelle reti sociali di idee e comportamenti: ciò che un gruppo di studiosi ha chiamato “memetica”8.

 

4. Dalla complessità delle reti alla “memetica”: la diffusione virale di idee e comportamenti

Per arrivare all’ultimo passaggio della nostra riflessione, quello che faremo nel paragrafo conclusivo, dobbiamo capire - almeno per grandi linee - come emergono, si assestano, scompaiono o si propagano le idee e i comportamenti sociali che costituiscono i flussi di connessione sociale a livello sia locale che mondiale; per fare ciò, dobbiamo richiamare qui ora, seppure in maniera obbligatoriamente sintetica, due aree di studio e di ricerca che si sono sviluppate nelle loro forme attuali solo di recente, nel corso dell’ultimo decennio: quella delle reti e quella della cosiddetta memetica. Procediamo per concetti chiave.

Teorie delle reti. Possiamo vedere i sistemi complessi come reti di elementi (nodi o vertici) collegati tra loro da connessioni (link o edge). Gli studiosi9 che hanno creato e sviluppato le teorie delle reti hanno scoperto che la struttura (l’architettura, la topologia) della rete di connessioni tra gli elementi in un sistema dinamico in evoluzione è importante tanto quanto la dinamica dei singoli nodi: ovvero la struttura della rete fa evolvere il sistema in maniere diverse a seconda della sua natura, determinandone l’adattabilità all’ambiente, la capacità di risposta agli stimoli, e soprattutto la resistenza agli attacchi esterni o alla diffusione di virus o epidemie o contagi.

Sono state individuate in natura reti di diversi tipi: quelli che vogliamo evidenziare qui (sia per semplicità che per analogia con i discorsi che abbiamo fatto sui sistemi complessi e sul loro sviluppo al margine del caos) sono:

  • le reti regolari o ordinate: pochi e costanti legami di ciascun elemento con i vicini, rappresentabili con una distribuzione gaussiana del numero medio di legami di ciascun elemento;
  • le reti casuali o disordinate: legami totalmente casuali di ciascun elemento con gli altri,
  • e le reti intermedie (reti complesse), quelle che potremmo definire “al margine fra ordine e disordine”, rappresentabili con una “legge di potenza” per quanto riguarda la distribuzione dei legami fra i nodi: coesistono cioè in questo tipo di rete pochi elementi, detti hub, con moltissimi legami, e tantissimi elementi con pochi legami, stretti prevalentemente con i vicini e occasionalmente con elementi lontani, grazie ai cosiddetti “legami deboli”: qui allignano diverse tipologie di reti (tra cui le cosiddette “reti democratiche” contrapposte per proprietà alle cosiddette “reti aristocratiche”) che hanno in comune alcune caratteristiche: grande resistenza agli attacchi esterni, capacità di diffondere velocemente e in maniera efficace i segnali (sia quelli positivi che quelli negativi, come virus e contagi), resilienza, adattabilità.

Nota importante: sono reti complesse sistemi diversissimi tra loro come le reti sociali, quelle finanziarie, economiche e sanitarie e in particolare il Web.

Memetica. Il termine “memetica” viene utilizzato per la prima volta da Richard Dawkins, nel cuore del suo saggio più famoso, quello tradotto in Italia da Mondadori nel 1989 con il titolo “Il gene egoista”, in cui lo studioso dimostra come l’uomo possa essere letto da un punto di vista diverso, ovvero come macchina da sopravvivenza, una sorta di robot programmato per dare continuità, grazie alle sue generazioni sempre in evoluzione, all’esistenza di quelle molecole (per questo qualificate come “egoiste”) che conosciamo con il nome di “geni”.

Da qui Dawkins passa alla considerazione di un altro “replicatore”, il secondo nella storia della vita così come noi la conosciamo. Rileggiamo la sua considerazione (riportata a pag. 201 del libro citato), illuminante anche per il nostro discorso. Ecco la premessa: “È capitato che il gene, la molecola di Dna, fosse l’entità replicante che ha prevalso sul nostro pianeta. Potrebbero essercene delle altre e se ci sono, purché esistano altre condizioni, tenderanno quasi inevitabilmente a diventare la base di un processo evolutivo. Ma è necessario andare su mondi distanti per trovare altre specie di replicatori e quindi altri tipi di evoluzione?”. E quindi Dawkins passa all’introduzione del concetto di memetica e alla sua individuazione come replicatore analogo al gene: “Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di recente proprio su questo pianeta. Ce l’abbiamo davanti, ancora nella sua infanzia, ancora goffamente alla deriva nel suo brodo primordiale ma già soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene indietro senza fiato. Il nuovo brodo è quello della cultura umana”. Quindi definisce il “meme”10 e lo descrive in concreto: “Esempi di memi sono melodie, idee, frasi, mode, modi di modellare vasi o costruire archi. Proprio come i geni si propagano nel pool genetico saltando di corpo in corpo tramite spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione”.

In sintesi possiamo dunque definire meme “ciò che è imitato”11.

A seguito dello spunto di Dawkins, nell’ultimo decennio le riflessioni e gli studi sulla memetica si sono moltiplicati, con il coinvolgimento di molti studiosi12, prima fra tutti Susan Blackmore13, le cui tesi ci porteranno, come vedremo fra breve, alla soglia della formulazione della nostra ipotesi iniziale.

Intanto rileviamo il fatto che la memetica ci fornisce il quadro teorico attraverso cui osservare i modi in cui si diffondono nelle reti sociali i pensieri e i comportamenti, che - come abbiamo visto - seguono leggi di propagazione condizionate dalle strutture delle stesse reti in base alla loro velocità di trasmissione e della loro resilienza: le stesse leggi che ritroviamo alla base delle epidemie di malattie virali. Puntualizza Francesco Ianneo, uno dei pochissimi che si è occupato da noi in Italia di memetica: “Spesso da una diffusione inizialmente caotica può emergere una rete stabile di cause ed effetti, come nel caso di credenze, miti, costumi o fedi politiche che, dopo aver infestato le menti di alcuni adepti o fanatici, riescono a influenzare il comportamento di altre persone con un effetto a catena”14. Non per nulla Barabási ci fa notare, nel suo già citato libro Link, che l’affermazione travolgente del meme Cristanesimo nel mondo si è avuta solo a partire dalla sistematica azione di Paolo di Tarso (San Paolo) con la costruzione di connessioni tra quelle che fino ad allora non erano altro che isolate comunità di “ebrei rinnegati” sparse nel mondo antico.

 

Reti tecnologiche come acceleratori memetici. Facciamo ora l’ultimo salto che ci porta alla formulazione argomentata dell’ipotesi iniziale di un sistema intelligente globale emergente da una rete di conoscenze di tipo memetico catalizzata e violentemente accelerata dalle nuove tecnologie. Osserviamo prima di tutto una cosa banale: “tutte” le reti create dall’uomo per facilitare il contatto e lo scambio di merci, di conoscenze (e di comportamenti) fra umani favoriscono per loro natura l’accelerazione dello sviluppo memetico: dalla prime reti stradali della preistoria alle più recenti reti cresciute in maniera vertiginosa ed esponenziale nell’ultimo scampolo di tempo della storia dell’umanità: le reti delle rotte marine, quelle ferroviarie, autostradali, aeree, radiofoniche, televisive, telefoniche (via cavo, cellulare o satellite) e, da ultimo, quelle telematiche e informatiche, con Internet e tutti gli annessi e connessi.

E qui entra in gioco come avevamo preannunciato Susan Balckmore che, nella appassionata conferenza tenuta al TED nel febbraio del 2008, ha proposto all’opinione pubblica la constatazione della nascita del “terzo replicatore” della evoluzione della vita sul nostro pianeta: quello che lei ha battezzato “tecnomeme” o teme (anche se in italiano purtroppo suona male). La differenza chiave rispetto ai memi è che i tecnomemi si riproducono senza il bisogno di essere ospitati in cervelli umani: possono riprodursi ed evolvere saltando da una macchina all’altra, all’interno di reti tecnologiche indipendenti15: “esterne” in parte (per ora) o in toto (in un futuro non lontano) da qualunque mente umana che pure abbia partorito inizialmente il meme originario.

Ecco il passaggio più significativo della conferenza della Balckmore per quanto riguarda la nostra ipotesi: “L’intelligenza appare in tutti i posti, in tutte le forme. L’intelligenza umana ne rappresenta solo un tipo. Quel che conta davvero è che i replicatori esistono, ed esistono diversi livelli di replicatori, ognuno dei quali si sostiene sul precedente”.

 

5. Conclusioni: sta nascendo un “sistema intelligente” di livello superiore al nostro?

Ora abbiamo tutte le tessere del mosaico. Basta tirare le somme. E lo faremo brevemente, come annunciato in apertura.

La specie umana ha costruito un po’ per caso un po’ per necessità un sistema di reti globali intrecciate tra loro, molto strettamente connesse e con pochi gradi di separazione: a oggi (e con un tasso di crescita costante o addirittura accelerato), le reti informatiche (Internet e Web) contano migliaia di miliardi di collegamenti e miliardi di nodi costituiti da computer abitati da agenti intelligenti, software autonomi e menti umane.

Ciò significa che abbiamo costruito (senza averlo progettato, ma scoprendo gli esiti delle nostre azioni collettive solo via via che l’organismo si sviluppava per aggregazione dinamica, per crescita e auto-organizzazione dal basso) una rete che ha tutte le caratteristiche di un sistema complesso da cui può emergere una proprietà imprevedibile a priori: così come la proprietà “mente” o “coscienza” è emersa a suo tempo dal sistema fisico “cervello”.

Kevin Kelly ha raccolto dei numeri che confermano questa prima intuizione dal punto di vista quantitativo (necessario seppur non sufficiente per ipotizzare l’emersione di una mente globale dalla rete fisica macro-neurale): ci sono 100 miliardi di neuroni nel cervello umano e 100 mila miliardi di transistor nella rete informatica globale che Kelly chiama il computer planetario; 100 mila miliardi di sinapsi nel cervello umano e 57 mila miliardi nel cervello planetario... e così via con numeri di ordine o di grandezza uguale o decisamente superiore nel cervello planetario per quanto riguarda misure fisiche come megabyte di memoria o velocità di elaborazione delle informazioni16.

Vogliamo sentire che cosa ne pensano alcune delle menti più brillanti del nostro secolo? Facciamo una cosa nuova, anomala rispetto alla solita lettura di una rivista scientifica: andiamo on line e colleghiamoci con i siti che ci permettono di guardare la conferenza della Blackmore, di cui abbiamo dato l’indirizzo in nota; e l’intervista a “Meet the guru”con Edgar Morin che parla della “coscienza planetaria di Internet”17; o l’impressionante sequenza di dati che forniscono Karl Fisch e Scott McLeod nella animazione intitolata “Did you know?”18.

Ora la domanda è: se mai davvero nascesse una mente o un pensiero autonomo o una coscienza di ordine superiore19 alla nostra da questa struttura fisica e informatica che abbiamo costruito, ce ne accorgeremmo?

È vero che riteniamo improbabile se non impossibile - per quanto ne possiamo sapere - che un neurone del nostro cervello abbia la consapevolezza dell’esistenza della nostra mente a cui “lui” contribuisce continuamente. Ma non è detto che possiamo traslare il ragionamento cambiando scala: se altrettanto faremo (o già facciamo) noi, sorta di macro-neuroni per l’espressione del nuovo sistema complesso globale, avremo lo stesso limite che hanno i nostri neuroni rispetto a noi, oppure - essendo noi di natura diversa e appartenendo a sistemi complessi di ordini superiori - avremmo qualche retroazione che ci farebbe capire che qualcosa di intelligente si sta muovendo sulle nostre migliaia di miliardi di nodi, azioni, pensieri, contatti?

Avremo cioè mai il modo di sapere se avremo creato noi - dal basso, per auto-organizzazione, senza accorgercene - una sorta di nuovo dio immanente?

E questa intelligenza avrebbe modo di agire sulle sue parti componenti (noi) come noi agiamo sulle componenti del nostro cervello con elettrodi, sonde, sostanze chimiche o interventi chirurgici?

Domande - come si prevedeva all’inizio - che suonano al limite della fantascienza. Ma non dimentichiamo che ciò che la mente umana immagina ha quasi sempre probabilità di verificarsi e che la fantascienza ha spesso anticipato fenomeni, eventi e processi che si sono poi verificati anni e anni più tardi.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Ellis G.F.R., “True complexity and its associated ontology”, in Barrow, Davies e Harper (a cura di), “Science and ultimate reality”, Cambridge University Press, 2004

  • Luisi P.G., “The Emergence of Life: From Chemical Origins to Syntetic Biology”, Cambridge University Press, 2006

  • Maturana H. e Varela F., “Macchine e esseri viventi. L’autopoiesi e l’organizzazione biologica”, Casa Editrice Astrolabio, 1992 (ed. originale 1972)

  • Dawkins R., “Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente”, Mondadori,1989 (ed. originale 1976)

  • Granovetter M., “The strenght of weak ties”, University of Chicago Press,1972

  • Villani M. (a cura di), “Educating managers in complexity”, Aracne, 2006

  • Buchanan M., “Nexus”, Mondadori, 2003 (ed. originale 2003)

  • Barabási A.L., “Link, la scienza delle reti”, Einaudi, 2004 (ed. originale 2002)

  • Blackmore S., “La macchina dei memi”, Instar Libri, 2002 (ed. originale 1999)

  • Dennet D.C., “Darwin's Dangerous Idea: Evolution and the Meanings of Life”, Simon & Schuster,1995

  • Brodie R., “Virus of the mind”, Hay House, 1996

  • Ianneo F., “Memetica. Genetica e virologia di idee, credenze e mode”, Castelvecchi, 2005

 

Note:

1. “con il termine cloud computing si intende un insieme di tecnologie informatiche che permettono l'utilizzo di risorse hardware o software distribuite in remoto”. Tra le varie tipologie del cloud computing si trova anche il cosiddetto IaaS (Infrastructure as a Service), che indica nello specifico l’utilizzo di risorse hardware in remoto, e che si può considerare “quasi un sinonimo di grid computing, ma con una caratteristica imprescindibile: le risorse vengono utilizzate su richiesta al momento in cui un cliente ne ha bisogno, non vengono assegnate a prescindere dal loro utilizzo effettivo”. I virgolettati sono tratti da Wikipedia alla voce “Cloud computing”.

2. sempre più spesso si affaccia la possibilità che emerga una mente di ordine superiore dalla connessione delle nostre strutture mentali negli scritti di autori di diversa provenienza come Kevin Kelly, Susan Blackmore, Edgard Morin o Douglas Coupland.

3. pur non essendo d’accordo, mi adeguo all’utilizzo del termine “emergenza” presente ormai in tutte le traduzioni dall’inglese degli studi sulla complessità nella letteratura in italiano, anche se si dovrebbe utilizzare la parola “emersione”: infatti, mentre il termine “emersione” può essere solo la traduzione di “emergence”, il termine “emergenza” mantiene una certa ambiguità, potendo essere la traduzione dall’inglese sia di “emergence” (appunto “emersione”) sia di “emergency” (“emergenza, urgenza, fortuna”); d’altra parte da mezzo secolo in Italia si continua a dire “cartoni animati” traducendo erroneamente, per assonanza, il termine “cartoon”, che non significa “cartone” ma “disegno umoristico, caricatura”.

4. “Lo spider (o ragno) è un piccolo software che un motore di ricerca utilizza per andare in giro per il web. Quando lo spider si imbatte in un nuovo sito, memorizza il contenuto delle varie pagine e cataloga i link che puntano in direzione di altri siti. Seguendo questi link lo spider continua il suo percorso dirigendosi verso altri siti. (...) Alcuni spider sono in grado di indicizzare anche un milione di documenti al giorno”: citazione dal sito di posizionamento e registrazione dei motori di ricerca http://www.fattitrovare.com/motori-di-ricerca/spider

5. interessante per la chiarezza e la sintesi è a questo proposito il saggio “True complexity and its associated ontology” scritto da George F. R. Ellis per la IV Parte (“Emergence, life, and related topics”) del prezioso volume “Science and ultimate reality” edito da Barrow, Davies e Harper e pubblicato dalla Cambridge University Press nel 2004 in onore di Sir Archibald Wheeler; in questo saggio Ellis propone una originale gerarchia di relazioni causali che parte dalla metafisica e arriva alla chimica attraverso (nell’ordine) la teoria del tutto, la fisica delle particelle, la fisica e la chimica; dalla chimica fa partire poi due rami paralleli: il primo arriva all’etica passando (sempre nell’ordine) da biochimica, fisiologia, psicologia e sociologia; mentre il ramo parallelo chiude il cerchio tornando alla metafisica attraverso (nell’ordine) i materiali, la geologia, l’astronomia e la cosmologia (ivi p. 634).

 

6. moltissimi sono gli studi e di conseguenza i libri sulle origini della vita, questione in cui le ricerche scientifiche si confrontano e spesso collidono con le credenze delle diverse religioni diffuse tra le popolazioni del nostro pianeta; a nostro avviso, una sintesi di grande qualità sia scientifica che divulgativa (in senso anglosassone) si trova nelle pagine del volume di Pier Luigi Luisi “The Emergence of Life: From Chemical Origins to Syntetic Biology”, pubblicato nel 2006 dalla Cambridge University Press e ora in via di pubblicazione in italiano con il titolo “L’emergenza della vita. Dalle origini chimiche alla biologia sintetica”; queste solo le parole di apertura dell’introduzione: “L’idea dominante nel mondo scientifico riguardo l’origine della vita sulla Terra è che essa abbia avuto origine dalla materia inanimata attraverso un lentissimo processo spontaneo di graduale crescita della complessità funzionale-molecolare.”

7. non si può prescindere in questo ragionamento dagli studi effettuati da Humberto Maturana e Francisco Varela e in particolare dal loro libro tradotto in italiano e pubblicato nel 1992 dalla Casa Editrice Astrolabio con il titolo “Macchine e esseri viventi. L’autopoiesi e l’organizzazione biologica” (l’edizione originale è del 1972)

. 8. il primo a introdurre il termine “memetica” - in analogia con il termine “genetica” - fu quello stesso Richard Dawkins che era diventato punto di incrocio di attacchi e consensi appassionati con il famoso libro tradotto e pubblicato in Italia da Mondadori nel 1989 con il titolo “Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente” (l’edizione originale era stata pubblicata nel 1976 dalla Oxford University Press).

9. gli studi sulle reti si possono far risalire alla “Teoria dei grafi” nata con le questioni poste da Eulero nella prima metà del Settecento a proposito dei famosi ponti di Königsberg; ma alle domande su come si formano le reti e sulle leggi che ne regolano le strutture non si sono avute risposte fino alla metà del secolo scorso (fondamentali le ricerche di fine anni Cinquanta dei due matematici Erdös e Rényi, e poi lo studio sui “legami deboli” pubblicato da Mark Granovetter nel 1972 presso la University of Chicago Press con il titolo “The strenght of weak ties”); e si è dovuto aspettare poi la fine del Novecento prima di mettere a fuoco le conoscenze indispensabili per capire come la struttura di una rete condizioni fortemente il suo comportamento, grazie alla definizione di due grandezze misurabili di immediato utilizzo operativo: la cosiddetta “lunghezza caratteristica” e il “coefficiente di cloustering”. Da qui il concetto di “piccolo mondo” (rete fortemente connessa con pochi “gradi di separazione” fra ciascuno degli elementi del sistema studiata da Stanley Milgram) e di rete scale free (che ubbidisce cioè a una “legge di potenza”, ovvero ha una struttura “a invarianza di scala”: concetti e strutture emersi dagli studi di matematici come Barabási e Albert, Strogatz e Watts). Per saperne di più si possono leggere saggi specialistici di sintesi come quello pubblicato da Marco Villani in “Educating managers in complexity” edito da Aracne nel 2006, testi divulgativi come “Nexus” di Mark Buchanan, pubblicato in italiano da Mondadori nel 2003, o dirette testimonianze dei protagonisti di questi studi come l’appassionante e leggibilissimo “Link, la scienza delle reti”, di Albert-Lázló Barabási, pubblicato in italiano da Einaudi nel 2004 (l’edizione originale è del 2002).

10. questa è la motivazione che Dawkins dà per il nome che ha scelto e che è stato ripreso e accettato poi dalla letteratura internazionale: “... dobbiamo dare un nome al nuovo replicatore, un nome che dia l’idea di un’unità di trasmissione culturale o una unità di imitazione. «Mimeme» deriva da una radice greca che sarebbe adatta, ma io preferisco un bisillabo dal suono affine a «gene»; spero perciò che i miei amici classicisti mi perdoneranno se abbrevio mimeme in meme. Se li può consolare, lo si potrebbe considerare correlato a «memoria» o alla parola francese même.” (tratto da “Il gene egoista”, stessa edizione e stessa pagina dei brani citati nel testo corrente).

11. il concetto di “imitazione” - tipica dell’uomo - va definito in maniera specifica per distinguerlo da processi simili (quello di “contagio” e quello di “apprendimento sociale”) che avvengono anche negli altri esseri viventi; qui non abbiamo né il modo né lo spazio per farlo; ma chi fosse interessato ad approfondire il significato di “imitazione” può trovarne descrizioni, caratteristiche e specificità da pag. 77 a pag. 86 del libro di Susan Blackmore, “La macchina dei memi”, pubblicato in Italia da Instar Libri nel 2002 (e uscito in originale tre anni prima, nel 1999, per i tipi della Oxford University Press).

12. tra i tanti ricordiamo Daniel C. Dennet (con il suo fondamentale “Darwin's Dangerous Idea: Evolution and the Meanings of Life” pubblicato da Simon & Schuster nel 1995) e Richard Brodie che, a premessa del suo famosissimo “Virus of the mind” (prima edizione del 1996, ultima nel 2009, edizioni Hay House) ha scritto un warning divertente e significativo: “This book contains a live mind virus. Do not read further unless you are willing to be infected...”

13. Susan Blackmore, oltre a essere l’autrice del fondamentale volume “La macchina dei memi” (già citato in una nota precedente) e di molti altri saggi, ha tenuto di recente (febbraio 2008) una delle più interessanti conferenza del TED (TED è un’organizzazione nonprofit nata nel 1984 con l’obiettivo di “diffondere le idee più importanti” e cresciuta in maniera esponenziale con la diffusione del Web 2.0); l’indirizzo Internet per vederla in streaming sottotitolata in italiano (attivare l’opzione sottotitolazione e scegliere la lingua) è il seguente: http://www.ted.com/talks/lang/eng/susan_blackmore_on_memes_and_temes.html

14. tratto dal libro di Francesco Ianneo “Memetica. Genetica e virologia di idee, credenze e mode”, Castelvecchi, 2005, pag. 64.

15. a questo proposito ci sono anche passaggi inquietanti - seppure all’apparenza fantascientifici - nella conferenza della Balckmore. Un esempio? Eccolo: : “... I tecnomemi sono replicatori egoisti e non si preoccupano di noi, del nostro pianeta o di altro. Non sono altro che informazione - perché dovrebbero? ... Noi siamo macchine vecchie ... Quando le macchine da tecnomemi si replicheranno da sole, non importerà se il clima del pianeta sarà compromesso e non sarà più possibile per gli umani vivere qui. Perché le macchine da tecnomemi non sono creature mollicce, umide, che respirano ossigeno ... Possono andare avanti senza di noi”.

16. tutti i dati si trovano pubblicati sul numero di Luglio dell’edizione italiana di “Wired”, nel servizio intitolato “Il computer planetario”, a pag. 34.

17. http://www.meetthemediaguru.org/index.php/11/edgar-morin-la-coscienza-planetaria-di-internet/

18. http://www.youtube.com/watch?v=jp_oyHY5bug

19. concetti per certi versi analoghi o precursori rispetto a quello di una mente scaturita dalla connessione globale delle menti umane (non attraverso strumenti come Internet) si ritrova nella nozione di “noosfera” di Vladimir Vernadskij (ripresa poi efficacemente da Edgar Morin); in quella di “Gaia” di James Lovelock e Lynn Margulis; e in quella della “coscienza collettiva” di Teilhard de Chardin.

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