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Dalla Teoria Generale del Diritto alla Transitività delle Etiche

In un sistema complesso gli investimenti per garantire l’apertura, il riorientamento e l’equilibrio dinamico sono fonti di vantaggio competitivo, ma in una privatizzazione spinta quale risposta all’accresciuta competitività dei mercati, in cui vi è una politica fiscale e monetaria destabilizzata dalla globalizzazione finanziaria, a cui è stata data risposta con l’adozione di standard fiscali rigidi per superare gli aspetti negativi degli indebitamenti, non appare credibile la possibilità di investire nuove risorse, se non vi è addirittura la riduzione delle stesse.

 

L’interpretazione del sistema giuridico secondo la teoria della complessità

Dalla Teoria Generale del Diritto alla Transitività delle Etiche

[ su gentile concessione di Sergio Sabetta un articolo pubblicato anche su Altalex ]

Secondo la teoria della complessità applicata alle organizzazioni estese tre sono le leggi che caratterizzano i sistemi complessi (Comello) (1):

      1. legge dell’apertura;

      2. legge del riorientamento;

      3. legge dell’equilibrio dinamico.

      4. Tutti i sistemi complessi scambiano energia e informazioni con l’esterno, evolvendo con l’ambiente circostante. L’apertura all’esterno delle organizzazioni, fa sì che vi sia un apporto energetico informativo che alimenti la crescita.

      5. I sistemi complessi adattivi tendono a riorientarsi a seguito delle discontinuità incontrate. Le pianificazioni avvengono se vi è una probabilità degli eventi che tuttavia non esclude l’improbabile, quale causa di destabilizzazione del sistema che dovrà riorganizzarsi; la velocità di questa sarà indice dell’efficienza del sistema complesso.

      6. La dinamicità dell’equilibrio avverrà tra continuità e discontinuità, si che il sistema vive in una zona grigia chiamata orlo del caos posta tra ordine eccessivo e disordine totale, tra fossilizzazione e disintegrazione. L’obiettivo è quello di perseguire l’equilibrio dinamico in un continuo ondeggiare tra i due estremi, affrontando l’imprevisto mediante un riorientamento non solo organizzativo, ma anche culturale.

In un sistema giuridico complesso la difficoltà è rispettare le regole esistenti al momento, in un continuo divenire.

Possiamo senz’altro riconoscere che il sistema non è saldo se non in apparenza ma in realtà sempre sull’orlo del caos, costituzionalmente pronto a sprofondare nel disordine. Due assi guidano il sistema giuridico, uno economico che sono le risorse materiali e immateriali immesse e l’altro l’etica, ossia il complesso di valori con cui viene gestito, il tutto tessuto da una corretta e continua informazione (legge dell’apertura).

Come è stato molte volte rilevato più cresce il sistema, più sono le risorse immesse, più aumenta la complessità dell’architettura di controllo che a sua volta assorbirà crescenti risorse. L’efficienza stessa, è stato dimostrato può essere causa nei servizi di un aumento della domanda e quindi dei costi, entra pertanto in gioco la necessità di determinare il livello di efficienza che si ritiene sufficiente, questo in stretto rapporto al concetto di etica sociale vivente al momento.

Tutto il sistema vive immerso osmoticamente in un ambiente il quale esprime una propria etica, che lo stesso sistema in parte assorbe e contemporaneamente modifica o consolida ed è a sua volta fonte di dispersione di risorse e pertanto di aumento dei costi correlati.

Se un’etica già per sé variabile a cerchi concentrici viene a frammentarsi in etiche differenti, complicando ulteriormente la struttura, avremo un aumento dei costi in funzione dell’apertura del sistema all’esterno, anche a seguito dell’aumento della complessità normativa. L’aumentare il livello di disordine nel sistema non incrementando le risorse può essere senz’altro un metodo per esternalizzare i costi sui singoli attori sociali evitando il raggiungimento di una soglia superiore di efficienza, ma anche creando forme alternative di mercato della giustizia giuridicamente disciplinate o del tutto illecite.

In un sistema complesso gli investimenti per garantire l’apertura, il riorientamento e l’equilibrio dinamico sono fonti di vantaggio competitivo, ma in una privatizzazione spinta quale risposta all’accresciuta competitività dei mercati, in cui vi è una politica fiscale e monetaria destabilizzata dalla globalizzazione finanziaria, a cui è stata data risposta con l’adozione di standard fiscali rigidi per superare gli aspetti negativi degli indebitamenti, non appare credibile la possibilità di investire nuove risorse, se non vi è addirittura la riduzione delle stesse.

Breve è il passo verso un ulteriore stato di disordine, indipendentemente dalle dichiarazioni politiche e dalle riforme delle procedure, una volta che si intenda mantenere se non espandere il livello di garanzia dei diritti in presenza di una multiculturalità etica a parità di risorse immesse nel sistema.

E’ vero che le risorse possono essere concentrate in alcuni settori, ma questo comporta lo sguarnire di altri settori della giustizia in presenza di una forte crescita della domanda.

Si ritiene peraltro, a seguito di studi su una relazione diretta tra durata dei processi penali e propensione a commettere crimini contro la proprietà, che la rapidità ed efficacia degli interventi, particolarmente nel penale, debba portare alla eccezionalità degli stessi con una riduzione della domanda, mentre l’inefficacia dell’azione giudiziaria comporterà un aggravio di lavoro nelle corti a causa dell’incoraggiamento della illegalità (2).

Riguardo all’etica, questa non è da intendersi in forma singola ma come una pluralità di mondi interagenti tra loro e non solo tra aree culturali contermini ma all’interno della stessa area, secondo cerchi concentrici di cui elemento centrale è l’individualismo del singolo ossia l’immagine che esso ha di sé stesso in rapporto alla dimensione del gruppo in cui riconoscersi.

Ponendo l’etica, non come fine ma come scienza del movente della condotta umana, in rapporto alle strutture economiche esistenti si può valutare se viene privilegiato precedentemente l’accumulo personale o i benefici strutturali sì che prevalga un’etica basata sui rapporti puramente personali, individualisti e non istituzionali o piuttosto un’etica dai caratteri pluralisti e conglobante, fortemente istituzionale. Questa stessa etica varia in realtà sull’asse storico a seconda che si passi per periodi di accumulo o consolidamento.

Ma la complessità della formazione del sì, che passa anche dalle nostre esperienze relazionali fin dalla più tenera età e dalla fiducia collaborativa che eventualmente ne consegue, ci porta ad affinare anche le nostre capacità di empatia differenziate per sesso.

L’intrecciarsi della prospettiva cognitiva come capacità di comprendere la psicologia degli altri, con quella affettiva, in cui si sperimentano le reazioni emotive derivanti dall’osservazione delle esperienze altrui, rafforzano i legami interpersonali empatici creando una serie di meccanismi di “risonanza” interna delle esperienze altrui.

Tuttavia i livelli empatici variano nella necessità di mantenere in equilibrio l’aspetto collaborativo con quello individualista, in una ricerca continua di un equilibrio ottimale variabile per il contesto ambientale.

Se Alan P. Fiske indica la base della struttura sociale della mente umana in qualsiasi cultura nei quattro modelli elementari di:

      1. Condivisione di beni comuni;
      2. Gerarchia secondo autorità;
      3. Valutazione secondo mercato;
      4. Comparazione secondo uguaglianza;

acquista importanza, oltre al principio di reciprocità tra i membri del gruppo quale comportamento da adottare negli scambi sociali (simmetrico tra amici, attitudinale tra estranei, calcolato nell’ambito professionale ossia quando vuole commerciare acquisendo risorse), la considerazione che gli altri hanno del nostro comportamento quale premessa per più efficienti rapporti interpersonali.

Vi sono quindi etiche differenti non solo tra aree culturali, ma tra gruppi della stessa area a seconda della maggiore o minore capacità di riconoscersi nei valori portanti di gruppi più o meno estesi. Il raffronto tra queste etiche comporta una difficoltà relazionale di comunicazione e di stima dei valori, tutte circostanze che appesantiscono ulteriormente il sistema giustizia con nuovi costi.

Basti pensare alle profonde differenze esistenti tra l’esperienza occidentale e la tanto attualmente citata cultura cinese, in cui le relazioni interpersonali di mutuo vantaggio e obbligo reciproco (guanxi), oltre ai valori della famiglia, della reputazione sociale (mianzi) e dello status impongono una forte lealtà verso l’individuo, il capo, anziché verso l’azienda e l’organizzazione. Inoltre a fronte di basse retribuzioni appaiono del tutto naturali i benefit verso la famiglia con caratteristiche che l’avvicinano in parte al familismo dell’area mediterranea piuttosto che centro-nord europea, circostanza che ripropone le differenze interne esistenti nella stessa area culturale (3).

La complessità etica viene a riflettersi sul funzionamento del sistema giuridico che viene spinto verso il disordine, contrastato dalla necessaria immissione di ulteriori risorse oltre che da una continua mediazione culturale.

Occorre tenere presente che la dinamica dei mercati è il risultato di contratti incompleti per asimmetria informativa, circostanza che impone una regolazione minima per attenuarne gli effetti negativi ai fini di una efficiente allocazione delle risorse, ma il ricorso alle corti aumenta i costi di transazione si che la fiducia quale prodotto di un minimo etico nei rapporti costituisce il migliore strumento per il contenimento dei costi e dell’inefficienza del sistema (4).

La fiducia è tuttavia il prodotto delle esperienze personali, il riflesso della cultura/etica di una società nel suo complesso. Afferma Dewey che i valori sono qualità immediate che possono essere preferiti o posposti solo in virtù di un’attività critica, non esistendo nella realtà valori assoluti immutabili e per questo collegandosi all’etica biologica di Spencer il quale vede nella morale l’adattamento progressivo dell’uomo alle condizioni di vita incontrate, quale risultato delle esperienze accumulate e ripetute attraverso le generazioni, senza che tuttavia questa possa acquistare la valenza di un Darwinismo sociale legato al successo economico, come Spencer di fatto sosteneva quando opponendosi agli aiuti statali agli indigenti affermava semplicisticamente che la distribuzione dei premi nella società non fosse che la conseguenza dei meriti individuali.

Occorre forse più semplicemente rifarsi all’utilitarismo di Bentham e alla sua elementare considerazione che i soli fatti su cui possa farsi leva nella morale sono i piaceri e i dolori, ricordando di non ridurre gli stessi ad aspetti puramente materiali ma collegandoli alle necessità biologiche dell’uomo e alle sue singole esperienze personali.

Le moderne correnti formalistiche della filosofia del Diritto abbandonando ogni ideale valutativo di giustizia alla sfera politica e morale negano la possibilità di un diritto perfetto, riducendo lo stesso a puro strumento per raggiungere determinati scopi e solo in rapporto alla sua capacità di raggiungere tali scopi se ne giudica l’efficienza.

Lo scindere diritto e morale può giustificare le aberrazioni riducendo ad amorale il tecnico del diritto, anche se facilita lo studio della regolamentazione del comportamento umano. Il diritto è per Kelsen la tecnica sociale specifica di un ordinamento coercitivo contrassegnato dall’organizzazione della forza, mentre l’efficienza è data dalla coerenza del sistema a partire dalla norma fondamentale.

Viene meno qualsiasi collegamento con la teoria del diritto naturale nella sua formulazione giusnaturalistica, con una creazione di scientificità che può condurre all’indifferenza. Necessita pertanto il recupero dell’etica quale somma di valori nella conduzione dei rapporti umani, tenendo presente che viene a mancare la possibilità di una teoria generale della morale da applicarsi a gruppi sociali diversi, per non parlare delle aree culturali, ma considerando che l’impossibilità di determinare ciò che è felicità per il singolo non può risolversi nell’indifferenza generale dell’uomo, giustificando per tale via l’aggressione alla dignità umana, in presenza di una struttura giuridica perennemente sull’orlo del caos.

Note

  1. Le tre leggi delle organizzazioni complesse, in www.eccellere.com/rubriche/gestionestrategica/organizzazionicomplesse.htm
  2. D. Masciandaro, Efficienza della giustizia penale: un problema paese, in “Economia & Management”, 46-47, 2/2006;
  3. Doing Business in China a cura di Maria Weber. B. Gehrke, M. Sportelli, Le risorse umane in Cina: guanxi o competenze?, in “Economia & Management”, 37-43, 4/2006,
  4. D. Masciandaro, Il mercato delle regole. Etica ed economia: uso (e abuso), in “Economia & Management”, 52-53, 3/2006.

Bibliografia

  • T. E. Feinberg e J. P. Keenan (a cura), The Lost Self: Pathologies of the Brain and Identity, Oxford University Press, 2005;
  • S. I. Gillihan e M. J. Farah, Is Self Secial? A Critical Review of Evidence from Experimental Psychology and Cognitive Neuroscience, in “Psychological Bulletin”, Vol. 131, n. 1, 76-97, 1/2005;
  • E. Foner, Introduction to Richard Hofstadter, Social Darwinism, in “American Thought”, XIX, 1992;
  • Frans B. M. de Waal, L’Economia delle scimmie, in Le Scienze, 66-73, 6/2005;
  • S. M. Aglioti, A. Avenanti e V. Betti, Correlati neurofisiologici dell’empatia per il dolore, Accademia dei Lincei, 2006. Intervento al XXXII seminario sull’evoluzione biologica e i grandi problemi della biologia.
Sergio Sabetta

Sergio Sabetta

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