bollino ceralaccato

Le verità nascoste della complessità

La complessità è qualcosa di profondo e antico. Non è solo una teoria, un concetto, ma qualcosa che richiede come la verità un “lavoro”, l’opera umana. La complessità contiene il giusto e l’ingiusto, la realtà e la relazione, l’ordine e il disordine, il pensiero e l’azione, la responsabilità e l’ubbidienza, la certezza e l’incertezza.

Tutta la vita è una continua dialettica tra "resistenza e resa" (Bonhoeffer), una ricerca ininterrotta del punto di equilibrio tra modifica e accettazione del reale. A partire dalla nostra persona con il suo corpo e il suo carattere, a cui pure bisogna a tratti resistere e a tratti arrendersi. (Vito Mancuso)

Siamo abituati a vedere la complessità come qualcosa che si riferisce alla “contemporaneità”.

Soprattutto la complessità assume spesso l’accezione di complicato, difficile, impegnativo. Insomma uno spazio, un tempo e un luogo in cui è difficile sostare.

In realtà uno dei primi momenti emblematici che ci raccontano di questo “stato” è rappresentato, a mio avviso, da Pilato quando di fronte a Gesù pone la domanda: "Che cos'è la verità?" (Giovanni 18,38). Pilato non era interessato alla risposta. La sua non era una domanda, ma una battuta scettica e sarcastica buttata lì, mentre stava uscendo, per non ascoltare un’eventuale complicata risposta.

Spesso quindi l’atteggiamento di fronte alla complessità è questo: scaricare i problemi, non affrontarli, dare risposte scontate e se possibile non impegnative.

Così la complessità aumenta. E questa è una verità evidente.

Sempre a proposito di verità, circa un anno fa, ho letto nel libro di Vito Mancuso “La vita Autentica”, il caso che il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer racconta in un saggio intitolato Che cosa significa dire la verità?

"Un maestro chiede a un bambino dinanzi a tutta la classe se è vero che suo padre spesso torni  a casa ubriaco. È vero, ma il bambino nega [...]. Nel rispondere negativamente alla domanda del maestro, egli dice effettivamente il falso, ma in pari tempo esprime una verità, cioè che la famiglia è un'istituzione sui generis nella quale il maestro non ha diritto di immischiarsi. Si può dire che la risposta del bambino è una bugia, ma è una bugia che contiene più verità, ossia che è più conforme alla verità che non una risposta in cui egli avesse ammesso, davanti a tutta la classe, la debolezza paterna".

Bonhoeffer profila quindi una concezione della verità  a più dimensioni, per illustrare la quale è necessario proseguire nell’esempio: “In quella classe ci sono due ragazzi che abitano vicino all'interrogato e sanno perfettamente come stanno le cose. Uno di loro, per amore di precisione, si alza in piedi e dice di conoscere benissimo qual è la realtà dei fatti, ossia che il padre torna spesso ubriaco. L'altro, però, interviene dicendo che non è per nulla così, che il ragazzo che ha appena parlato si sbaglia perché confonde il padre del ragazzo interrogato con un altro uomo, e che lui, che abita proprio accanto, può garantire che le cose stanno effettivamente così. Chi tra questi due ragazzi dice la verità?

Il primo è "colui che pretende di dire la  verità dappertutto, in ogni momento e a chiunque".

Il secondo personifica una concezione secondo la quale il rapporto umano è più importante della descrizione oggettiva di come stanno effettivamente le cose.

Nel primo caso la verità è qualcosa di statico, è un dato  di fatto:  il padre è ubriaco punto e basta, poche chiacchiere.

Nel secondo caso la verità è qualcosa di dinamico che colloca il dato  di fatto dell'ubriachezza del padre nel contesto più ampio di un figlio costretto a riconoscerla pubblicamente di fronte al maestro e ai compagni di classe e che per questo negandola a un primo livello (quello dell'esattezza), la serve a un altro livello (quello della relazione).

Nel primo  caso la verità si dice, si riconosce, si dichiara, si professa. Nel secondo caso la verità si fa, si attua, si realizza, si costruisce.

Scrive il grande teologo che "la parola  veridica  non è una grandezza  costante in sé: è vivente  come  la vita stessa"

Era anche la posizione di Gesù, per il quale la verità è una grandezza che si fa, non  una  dottrina che si professa, e per questo diceva "chi opera la verità viene alla luce" (Giovanni3,21).

Forse la complessità è qualcosa di più profondo e “antico” di quanto si possa pensare. La complessità non è solo una teoria, un concetto, ma qualcosa che richiede come la verità un “lavoro”, l’opera umana.

La complessità contiene il giusto e l’ingiusto, la realtà e la relazione, l’ordine e il disordine, il pensiero e l’azione, la responsabilità e l’ubbidienza, la certezza e l’incertezza.

Nella complessità ci si può entrare solo mediante la nostra intelligenza e la nostra volontà di stare nelle contraddizioni che la vita ci mostra. Questo richiede una grande forza e contemporaneamente una grande umiltà.

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