bollino ceralaccato

Complessità e metafore del cambiamento.

I periodi di crisi sono i più fecondi di innovazione. Basta avere il coraggio della ricerca “profonda”. Fondata su cambiamenti di paradigma. Obiettivo del presente articolo è quello di presentare i risultati di una ricerca che, partendo dalla metafora della complessità, ha progettato processi di cambiamento che abbiamo definito “autopoietici”. Essi, contrariamente a quelli attualmente utilizzati che sono ispirati alla vecchia visione “ingegneristica” del mondo, non generano alcuna resistenza. In più, suggeriscono politiche delle risorse umane … umanamente intense. Le abbiamo definite: politiche di partecipazione progettuale.

 

Complessità, cambiamento autopoietico e politiche delle RU

(Un articolo pubblicato su Persone & Conoscenze)

Summary

I periodi di crisi sono i più fecondi di innovazione. Basta avere il coraggio della ricerca “profonda”. Fondata su cambiamenti di paradigma.

Obiettivo del presente articolo è quello di presentare i risultati di una ricerca che, partendo dalla metafora della complessità, ha progettato processi di cambiamento che abbiamo definito “autopoietici”. Essi, contrariamente a quelli attualmente utilizzati che sono ispirati alla vecchia visione “ingegneristica” del mondo, non generano alcuna resistenza. In più, suggeriscono politiche delle risorse umane … umanamente intense. Le abbiamo definite: politiche di partecipazione progettuale.

 

Politiche delle risorse umane ingegneristiche

La gestione delle risorse umane si trova, da sempre, strattonata tra due poli di attrazione.

Il primo polo è quello del desiderato, dell’auspicato, dell’idealità: l’organizzazione in funzione dell’uomo. Il “fondamento” di questo approccio è costituito dal riconoscimento, alle risorse umane, dello status di “persone”, con una loro irriducibile diversità che deve esprimersi attraverso propri progetti di auto realizzazione.

Il secondo polo è quello che ci sembra giusto definire “ingegneria delle risorse umane”: le risorse umane sono “strumenti”, sia pure essenziali, decisivi. La gestione di questi “strumenti” è sostanzialmente un processo di “trasformazione” attraverso il quale adeguarli alle esigenze dell’organizzazione e poterli, poi, collocare al posto giusto. In sintesi l’uomo in funzione dell’organizzazione.

Oggi sta certamente vincendo il secondo polo. La causa dichiarata è la sempre più feroce competizione. Essa costringe a sviluppare organizzazioni sempre più efficienti. E, conseguentemente, spinge verso politiche delle risorse umane ingegneristiche perchè sembrano le più funzionali a collocare le risorse giuste, al posto giusto, il più in fretta possibile.

 

Cambiamenti “ingegneristici”

Per strutturare le organizzazioni come “macchine” sempre più efficienti, occorre attivare processi di cambiamento che, sempre a causa della pressione della competizione, devono essere, a loro volta, i più efficienti possibili. Per essere efficienti devono essere ingegneristici. Vi deve essere la predominanza di una “intelligenza” che disegna dal di fuori (gerarchicamente) l’organizzazione ideale e di una “massa” di risorse che devono realizzare il cambiamento individuato come necessario.

Siamo di fronte ad un quadro complessivo che non fa una grinza. Le risorse umane sono esecutrici di un cambiamento che viene imposto dalla competizione e strumenti della nuova organizzazione che il cambiamento produce.

Il problema grave è, però, che, alla prova dei fatti, il cambiamento ingegneristico proprio non funziona! Sembra affetto da sindrome di autodistruzione perché dissemina di vere e proprie “trappole” ognuna delle quattro fasi nelle quali si struttura: la progettazione, la comunicazione, la formazione e l’implementazione.

 

Le “trappole” della progettazione

Le prestazioni di una organizzazione dipendono sostanzialmente dai comportamenti dei suoi membri. Poiché i comportamenti non possono essere predefiniti, il processo di progettazione può specificare solo il contesto nel quale, poi, le singole persone dovranno scegliere, in libertà e responsabilità, i comportamenti da adottare.

Allora il processo di  cambiamento inizia con una contraddizione relazionale. Infatti, da un lato, imposta una relazione direttiva tra vertice e base affermando che il vertice decide e la base deve eseguire. Dall’altro, questa direttività non ha sostanza proprio perché la progettazione non produce risultati prescrittivi, ma solo un contesto nel quale le persone sono “costrette” a esercitare quella autonomia progettuale che la relazione gerarchica vorrebbe negare.

 

Le “trappole” della comunicazione

Anche la comunicazione è direttiva perché il cambiamento non è da discutere, ma da realizzare. Si ripropone, allora, la contraddizione relazionale iniziale perché una comunicazione direttiva deve veicolare un contenuto prescrittivo. Ma il contenuto prescrittivo non c’è!

Ma non finiscono qui i problemi. Infatti, spesso si inizia il processo di implementazione con un evento comunicativo di tipo emozionale: una convention, ad esempio. L’operazione, però, rischia fortemente di essere controproducente perché, dovendo comunicare un contenuto “incompleto, rischia di scatenare reazioni diverse da quelle desiderate del motivare e dell’emozionare.

Può stimolare l’alzarsi di difese perché le singole persone non capiscono bene come il cambiamento impatterà sulla vita organizzativa quotidiana. Può far apparire la comunicazione come “retorica”, proprio perché il messaggio che veicola non è operativo. Può certamente anche riuscire a generare emozionalità. Ma solo nell’immediato. Perché quando si proverà a mettere in pratica il cambiamento si scoprirà che diventa difficilissimo da realizzare.

 

Le “trappole” della formazione

La formazione ha l’obiettivo di veicolare le competenze manageriali che servono a guidare l’implementazione del cambiamento. Purtroppo, però, risulta, spesso, inefficace.

Innanzitutto, perché rischia di fornire competenze obsolete. Infatti, le competenze manageriali classiche sono nate per gestire la sfida del funzionamento delle imprese e non possono essere adatte a gestire la sfida del cambiamento. Secondariamente, se si raccolgono tutte quelle che vengono definite competenze manageriali e relazionali, ci si ritrova alle prese con una vera e propria moltitudine ed è escluso che si riesca, in tempo utile, a diffonderla. In terzo luogo, i processi formativi tradizionali guidano allo sviluppo di competenze in situazioni virtuali. Ma le competenze hanno significato solo nelle situazioni in cui sono state create. Questo significa che un processo formativo tradizionale crea competenze inutilizzabili nelle situazioni reali proprio perché sono state generate in situazioni virtuali.

 

Le “trappole” della implementazione.

Nella fase di implementazione si manifesta l’apoteosi dell’equivoco tra prescrittività supposta e libertà sostanziale. Esaminiamo nei dettagli cosa accade.

Le persone si formano una visione personale del cambiamento che viene loro proposto e scelgono i comportamenti che ritengono più adatti sia a realizzare la propria identità che a raggiungere gli obiettivi che l’organizzazione ha loro assegnato.

Ora è molto difficile che le diverse visioni delle diverse persone siano spontaneamente compatibili.  Come è difficile che i loro comportamenti si coordinino spontaneamente in processi di lavoro complessivi efficaci ed efficienti.

Accade, allora, che le persone attivino processi di negoziazione. Ma, poiché partono dall’ipotesi che la loro visione è corretta e quella delle altre persone errata, questi processi negoziali non potranno che essere conflittuali.

A “calmierare” il negoziare conflittuale interviene il “Capo”. Ma anche egli si forma una sua visione della nuova organizzazione che occorre concretizzare, del ruolo delle diverse persone e di quali dovrebbero essere i comportamenti ottimali. Poiché neanche lui sfugge alla tentazione della ideologia, tende a voler imporre questa sua visione che considera essere quella corretta. Il risultato è che, invece di “calmierare”, aggiunge un nuovo livello di conflitto.

A problema si aggiunge problema: questo processo negoziale conflittuale avviene sempre e soltanto attraverso dialoghi tra persona e persona e non trova mai un momento di rappresentazione sociale. Non esistono momenti di incontro collettivo dove si esplicitino e si confrontino socialmente le proprie visioni e si discuta dei propri comportamenti. Questo significa che il processo di negoziazione rimane a livello interpersonale, non trova mai una sua sintesi sociale e tende a non esaurirsi mai.

In conclusione, il risultato finale di un processo di implementazione di questo tipo (inevitabilmente lungo e costoso) è costituito da una organizzazione a basse prestazioni ed a bassa soddisfazione per le persone che vi lavorano.

 

Organizzazioni ad alte prestazione ed ad alta soddisfazione

La situazione di grande difficoltà nel quale si trovano sia le imprese, sia le altre organizzazioni complesse, sia il nostro sistema paese nel suo insieme, chiede a tutti di fare uno sforzo straordinario perché i processi di cambiamento aumentino la loro efficacia e la loro efficienza.

In risposta a questo imperativo etico, abbiamo attivato un progetto di ricerca che ci ha portati a sviluppare una radicalmente nuova via al cambiamento.

 

Il driver è la visione del mondo!

La prima cosa che ci siamo chiesti è da dove trae origine una prassi di cambiamento che è considerata così inevitabile da non richiedere neanche l’esplicitazione di una teoria che la sostenga, la spieghi.

La risposta che ci siamo dati è che la scelta di processi di cambiamento (ma anche di politiche delle risorse umane) “ingegneristici” non dipende dalla pressione della competizione. Dipende, invece, da una specifica visione del mondo.

Infatti, dietro tutte le scelte ingegneristiche vi è la vecchia visione riduzionistica del mondo, formulata per la prima volta da Galileo e “completata” dal “Signore delle carte”. Essa vede il mondo in cui l’uomo vive come natura inerte, dotata di proprie leggi. L’uomo, utilizzando queste leggi, costruisce le macchine che aumentano la sua capacità di trasformare la natura a sua immagine e somiglianza. Chi non vede che il cambiamento ingegneristico segue la stessa filosofia? Il management costruisce l’organizzazione come se fosse una macchina e vi inserisce le persone come se fossero ingranaggi. Certo è costretto ad “ammorbidire” questo processo di inserimento perché le persone non possono essere considerate inerti. E vanno motivate e controllate. Ma lo ammorbidisce con rammarico perché questo arricchimento significa sub ottimizzazione.

 

La metafora della complessità

Poiché gli uomini non sono natura inerte, ma sono protagonisti attivi, anzi nella società attuale possiamo dire che sono diventati protagonisti “iper-attivi” perché cercano di soddisfare bisogni di auto realizzazione, allora non si può utilizzare alcuna visione riduzionistica del mondo.

Noi abbiamo sostituito ad essa la visione del mondo che viene proposta dalla metafora della complessità. Partendo da questa nuova visione abbiamo sostituito la metafora della macchina con la metafora della rete a nodi protagonisti. Ed abbiamo immaginato un nuovo processo di gestione del cambiamento che abbiamo definito “autopoietico”.

 

 

Il cambiamento auto poietico

Il modello del cambiamento auto-poietico funziona a questo modo.

Innanzitutto occorre riconoscere che un progetto di cambiamento può solo essere un contesto all’interno del quale  si scatena il processo di autodeterminazione dei comportamenti.

Basandosi su questo riconoscimento, occorre, allora, immaginare come gestire lo strutturarsi oggi spontaneo, disordinato ed inefficiente dell’organizzazione. Lo si può fare attraverso un processo di auto progettazione che viene guidato dai managers responsabili del cambiamento. Detto diversamente, lo si può fare attraverso un processo di creazione sociale di conoscenza guidato, invece che selvaggio, come accade oggi.

 

Per supportare processi di auto progettazione guidati, abbiamo sviluppato una metodologia che si struttura in tre  fasi fondamentali.

La prima fase è costituita dal “defreezing cognitivo”. Esso ha l’obiettivo di sbloccare le visioni ideologiche delle persone, di guidarle a leggere il progetto di cambiamento come una opportunità e, quindi, di far emergere l’esigenza di un impegno progettuale che deve essere inevitabilmente sociale.

La seconda è una fase di “progettualità sociale”. In essa le persone sono guidate attraverso quelli che sono i passi fondamentali del processo di progettualità sociale: la formulazione e la comunicazione di proposte e il dialogo progettuale. Ai managers il compito di dare, poi, senso complessivo a questo dialogo sociale producendo una sintesi delle proposte. Questa sintesi rappresenterà la concretizzazione, la declinazione nel contingente e nel locale del progetto di cambiamento organizzativo. Nella fase di progettualità sociale si innesta “naturalmente” una auto formazione comunitaria supportata dalle”Web Tecnologies” dove le diverse comunità che si vanno formando sono comunità di vita e di progetto. Cioè molto di più di comunità di pratiche.

Il processo si conclude con la “celebrazione sociale” della sintesi delle proposte. Essa potrà essere presentata durante una convention che, anche se potrà avere i tempi ed i ritmi di una convention classica, se ne differenzierà perché il messaggio che verrà veicolato sarà stato prodotto da tutti.

 

Il cambiamento autopoietico è un processo estremamente efficace ed efficiente che produce i seguenti risultati.

Il primo risultato è quello di eliminare ogni resistenza perché il cambiamento è visto come  momento di auto realizzazione delle persone.

Il secondo risultato è quello di generare organizzazioni ad alte prestazioni e ad alta soddisfazione per chi vi lavora.

Il terzo risultato è quello di far considerare il cambiamento non come una dimensione straordinaria che disturba l’attività corrente, ma come un nuovo modo di vivere dell’organizzazione.

 

Politiche di partecipazione progettuale

La metodologia del cambiamento auto poietico porta ad un vero e proprio nuovo paradigma della gestione delle risorse umane che abbiamo definito di “partecipazione progettuale”. Questo nuovo paradigma porta ad una rivoluzione nelle diverse attività che costituiscono il ciclo delle risorse umane.

 

Reclutamento

L’organizzazione che attiva processi di cambiamento autopoietici acquisisce naturalmente  un grande potere di attrazione dei talenti perché comunica di essere un ambiente di reale e non solo dichiarata auto realizzazione. Questo significa che la qualità del servizio di reclutamento aumenta in modo rilevante.

 

Selezione, inserimento

La selezione diventa molto più efficace ed efficiente a causa della qualità del materiale umano che è stato reclutato. Il processo di inserimento diventa molto più semplice perché avviene attraverso l’inserimento dei nuovi assunti in uno dei processi di cambiamento auto poietico che caratterizzano la vita dell’impresa. Questo tipo di inserimento, proprio per la struttura del processo di cambiamento auto poietico che prevede sia momenti di auto formazione che di progettualità, racchiude in sé i vantaggi dell’affiancamento, della formazione e dello stage. lI processo di inserimento può essere gestito dai managers di linea senza che questi distolgano in nessun modo l’attenzione dal raggiungimento degli obiettivi aziendali.

 

Formazione, sviluppo

La formazione si trasforma radicalmente con una impressionante riduzione dei costi, unita ad una altrettanto impressionante “escalation” dei risultati. Infatti, il “sapere” può venire delegato completamente all’auto formazione comunitaria. Questo significa che le Web Technologies diventano non soltanto strumenti di efficienza (come fino ad oggi sono state considerate), ma tecnologie abilitanti per attivare efficaci ed efficienti processi di sviluppo.

Il “saper fare” viene concretizzato in nuove competenze adatte a guidare i processi di cambiamento auto poietici e diventa immediatamente incarnato nella realtà. Non rimane in alcun modo una virtualità che ha senso solo nella realtà, virtuale appunto, dove è stato sviluppata.

La formazione può proficuamente concentrarsi sul “saper essere” che può diventare formazione filosofica, cognitiva. Una formazione, ad esempio, capace di far superare la visione del mondo propria della società industriale che porta al formarsi di un pensare ideologico. E capace di far immergere le persone nella nuova visione del mondo proposta dalla metafora della complessità. Questa nuova visione del mondo costituisce la risorsa fondamentale per sfruttare le potenzialità del cambiamento auto poietico.

 

Knowledge management

Il knowledge management cessa di essere una attività “aggiuntiva” che, appunto, aggiunge costi, impiega risorse che è necessario sottrarre ad altre attività, richiede investimenti specifici. Il knowledge management diventa un “sottoprodotto” dei processi di cambiamento auto poietici. Infatti, da un lato, tutto il sapere ed il saper fare viene formalizzato in “knowledge object”. Dall’altro, anche i dialoghi comunitari vengono formalizzati per essere disponibili socialmente. Da un terzo lato, anche i risultati dei processi di progettualità sociale vengono formalizzati e resi disponibili socialmente. In sintesi, la conoscenza diventa esplicitamente e visibilmente la risorsa strategica fondamentale per l’impresa.

Anche tutte le tecnologie e le metodologie di knowledge management cessano di essere strumenti di “seconda battuta” (certamente utili, ma quasi un lusso per chi deve affrontare la dura competizione) o strumenti da relegare alla conoscenza tecnologica per diventare, anch’esse, tecnologie abilitanti per la continuità dei processi di sviluppo.

 

Mobilità e carriera

La mobilità e la carriera possono essere gestite con un rilevante consenso sociale. Le informazioni sulle persone, sulle loro competenze (riconosciute socialmente) sulla loro capacità di acquisire leadership imprenditoriale, sono automaticamente disponibili. Senza la necessità di analisi ad hoc che risultano sempre troppo costose, troppo astratte, non socialmente condivise e mai sufficientemente tempestive.

 

Rewarding

Diventa sostanziale e non artificiale, legare parte dei compensi ai risultati aziendali. Infatti le persone, vivendo processi di cambiamento autopoietici, percepiscono di disporre di tutte le armi che servono loro per raggiungere gli obiettivi che concordano. E che sono, proprio per il modo in cui sono generati, non negoziati, ma pienamente e spontaneamente condivisi.

 

Comunicazione interna

La comunicazione non è più una attività “ulteriore”, esterna al processo gestionale perché le informazioni sono il necessario nutrimento dei processi di cambiamento auto poietici. Sono desiderate e richieste dalle persone non come strumento di potere personale, ma come risorsa sociale per costruire sviluppo.

 

Relazioni industriali

Le relazioni industriali perdono alla radice la loro carica conflittuale perché i processi di cambiamento auto poietici sono fondati su di una partecipazione piena (progettuale) e non sulla negoziazione conflittuale che, come abbiamo illustrato, è inevitabile in processi di cambiamento di tipo direttivo.

 

Tentando una sintesi, tutte le attività che costituiscono il ciclo delle risorse umane si semplificano ed aumentano la loro capacità di servizio. Il trasformarsi di queste attività libera energie. Esse possono essere utilizzate proficuamente, per formare e supportare i manager di linea a gestire i processi di cambiamento autopoietici.

Francesco Zanotti

Francesco Zanotti

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